Algranti Lab è un’originalissima realtà specializzata in arredamento d’interni di design. A portarla avanti oggi è Pietro Algranti, un allegro ragazzo visibilmente appassionato del suo lavoro. Lo andiamo a trovare nel suo laboratorio, mentre è intento a tagliare una grossa lastra di rame.
Ad Algranti Lab vengono realizzati mobili partendo esclusivamente da materiali di recupero. Dal legno, che costituisce la struttura di queste creazioni, ai metalli, usati invece per i rivestimenti. Già i primi modelli che ci troviamo davanti nel laboratorio, ancora in costruzione, hanno un fascino inimitabile.
È proprio questo il loro punto di forza, ci dice infatti Pietro. Utilizzando materiali di recupero, ognuno è già stato lavorato dal tempo, in un modo non replicabile dall’intervento umano.
“Molti vendono oggetti di recupero, utilizzando però acidi per simulare le fantasie e i colori prodotti dal passaggio del tempo”, dice Pietro. “Ma l’effetto è molto diverso, oltre che meno salutare”.
Anche la questione della sostenibilità è un punto centrale qui. Recuperare materiale che andrebbe perso, così come l’utilizzo di trattamenti naturali, fanno sì che tutto ciò che esca fuori da Algranti Lab non abbia subìto alcun trattamento nocivo.
“Siamo partiti dalla ricerca dell’estetica di certi materiali”, continua Pietro. “Affascinati da questi motivi unici impressi su legni e metalli”
Questo si è poi tradotto in un discorso anche ecologico, dovuto al fatto che i materiali non vengono trattati in alcun modo che ne pregiudichi le caratteristiche.
“Tutto quello che facciamo noi sui nostri materiali è fermare l’ossidazione”, ci spiega Pietro. “Utilizzando smalti e vernici ad acqua, invece che solventi, che sono meno salubri”.
A volte, continua, qualcuno ribatte che il rame che loro recuperano è comunque materiale che conoscerebbe una seconda vita, in un modo o nell’altro.
“È vero”, dice lui. “Ma per essere recuperato va incontro a procedimenti di lavorazione inquinanti. Noi lo recuperiamo così com’è e lo trattiamo in maniera più naturale possibile”.
In che modo, ci chiediamo. “A martellate”, risponde Pietro.
E infatti, mentre parliamo con lui, in un’altra stanza del laboratorio si sentono rumori sordi di qualcuno che sta cercando di piegare il metallo alle sue volontà.
“È un lavoro in cui ci vuole tanta resistenza”, sorride Pietro.
Collaborando con imprese di costruzione e andando in giro lui stesso, Pietro riesce a portarsi a casa materiali dismessi, il più delle volte vecchie grondaie in rame, uno dei suoi prodotti preferiti.
“Il rame è ricchissimo di fantasie e colori”, dice con entusiasmo. E ci indica una lastra appesa con delle pittoresche striature verdi a decorarla. “Quella fa parte di una grondaia conversa. Sono quelle grondaie che si trovano solitamente fra due tetti”.
Le splendide decorazioni naturali, che in effetti convergono tutte verso un asse, creando scenografici archi, sono create dal flusso dell’acqua nel corso del tempo.
Le grondaie hanno una vita media di cinquanta, sessant’anni, ci spiega Pietro. In questo periodo il rame subisce dei trattamenti di ossidazione che lo rendono affascinante.
Ma anche gli altri materiali, seppur un po’ meno ‘fantasiosi’, raccolgono gli effetti degli agenti esterni e li immagazzinano nelle loro stravaganti fantasie. Così il ferro, l’alluminio, l’ottone e il legno. Tutti materiali che Pietro e i suoi collaboratori trattano.
“Se mi chiedono di piallare una trave di legno che ho, mi rifiuto di farlo”, dice Pietro. “Vorrebbe dire cancellare le qualità del materiale, renderlo uguale a tutti gli altri”. Perché il fascino, ci spiega, è anche quello. Il materiale di recupero, qualunque esso sia, racconta una storia. E proprio per quello, Pietro fa di tutto per conservarlo così come lo trova, come glielo hanno consegnato il tempo, l’acqua e l’aria.
“Guardate qui”, ci dice, indicando una lastra di ferro. “Questa l’ho recuperata, insieme a molte altre, da una ex fabbrica di metalli caduta in disuso”.
Queste lastre, continua, sono rimaste rinchiuse in una cantina, una sull’altra, per tredici anni. Ogni piccola striatura che si vede, dice indicandocele, è aria che si è intrufolata fra una lastra e l’altra, lasciando la sua scia di ossidazione.
Da quello che ci racconta e ci mostra, non è difficile capire quanto sia importante, per chi lo sa apprezzare, mantenere il più possibile intatto il materiale di recupero, in modo da esaltarne forme e fantasie.
Quello che poi riescono a fare qui con questi materiali riesce ad esaltare ancora di più la bellezza di metalli e legni. D’altronde, Pietro è anche designer, avendo frequentato il Politecnico a Milano.
È lui che realizza il modello del mobile per i suoi clienti, ne cura i dettagli e ne discute con loro.
“Una volta che siamo allineati sul progetto, il cliente viene qui per scegliere i rivestimenti e i materiali che preferisce. Dopodiché inizia la fase di realizzazione”.
Algranti Lab lavora molto con clienti privati, e soprattutto nel realizzare mobili su misura.
“In realtà abbiamo anche una nostra collezione”, dice Pietro, facendoci vedere alcuni campioni che hanno esposti nel negozio accanto, aperto al pubblico.
“Su questi pezzi siamo liberi di sperimentare un po’ di più”, ci dice. “Se vedo un pezzo che mi piace magari penso già a come lo vorrei utilizzare. Così nascono oggetti un po’ fuori dall’ordinario. Come delle casse stereo in ferro zincato, lampade, o veri e propri quadri, da appendere a parete. Tutti di una bellezza ipnotica.
Lasciamo Pietro chino sulla sua grande lastra di rame, che andrà a comporre il suo prossimo lavoro. Il rivestimento di una grande parete di un locale lì vicino.
Un caso abbastanza particolare. Perché, come ci dice, i loro mobili sono richiesti un po’ in tutta Italia.
“Quello andrà in Sicilia, quell’altro a Padova. Quello invece va a Roma”, dice mostrandone alcuni sparsi lì intorno.
Felici che il lavoro per questa splendida realtà non manchi, salutiamo Pietro, conservando negli occhi le striature multicolori dei suoi splendidi mobili.