Ceramiche Puzzo, creazioni artigianali dal 1976

Puzzo all'opera nel suo atelier del nord di Milano. Da due generazioni la famiglia puzzo realizza oggetti artigianali in ceramica.

All’angolo di due tranquille vie milanesi del quartiere di Dergano, da oltre quarant’anni si trova un pittoresco laboratorio di ceramica artigianale

Ceramiche Puzzo è stato aperto nel lontano 1976 da Michele Puzzo e sua moglie Liliana, e oggi è diventato un laboratorio di famiglia, dove lavorano anche i due figli Stefano e Rizzardo

Andiamo a trovarli in una mattina di primavera inoltrata. Ci accoglie proprio Stefano, intento nella pittura di uno degli oggetti che, ormai da qualche anno, ha dato grande notorietà al laboratorio, riscuotendo un notevole successo. 

Un calciatore del Subbuteo, famoso gioco da tavolo molto in voga fra gli anni ‘70 e ‘80, riprodotto in scala più grande e con diverse colorazioni sulla maglia.  

È proprio Stefano Puzzo l’ideatore di questo caratteristico manufatto, ed è lui che ci spiega da dove è nata l’idea. 

Era il 2008, ci dice, quando, per iniziativa di un’associazione, decise di partecipare ad un evento che coinvolgeva i vari artigiani del quartiere. La richiesta per ciascun artigiano era quella di realizzare un oggetto a tema ‘gioco’, utilizzando le proprie competenze. 

“Già avevo realizzato qualcosa di attinente, come i carrarmatini del Risiko”, racconta Stefano, indicandocene qualcuno che ha in mostra nel laboratorio. “Ma volevo comunque provare a creare qualcosa di nuovo”.

Anche perché, specifica, quello che era il lavoro di Ceramiche Puzzo, fino ad allora, riguardava quasi esclusivamente la realizzazione di ceramiche per conto terzi. La parte creativa del lavoro rappresentava quindi una novità.

Stefano ha creato il suo primo modello del pupazzo, ha formato lo stampo, e iniziato a realizzare i primi campioni per l’evento di quartiere.

“Capitò che un fotografo, lì per documentare quella giornata, fece uno scatto della mia vetrina, dove avevo esposto i miei calciatori. Il giorno dopo, sull’inserto del Corriere, comparve la foto su due pagine dedicate. Da lì è iniziato tutto”.

Quella è stata giusto la prima di varie pubblicazioni, che hanno contribuito alla fama e garantito il successo agli omini del Subbuteo di Stefano. 

Aggirandosi qui nel laboratorio, se ne vedono davvero tanti diversi, ognuno con la propria maglia e fantasia, poggiati fra mensole e scaffali. 

E, anche se ormai la loro realizzazione è diventata una buona parte del lavoro qui, guardandosi intorno si vedono molti altri oggetti fra i più vari. Da vasi di design anni ‘70 a ciotole, piatti e oggetti d’arredo, tra cui statuette che raffigurano animali.

Il metodo di lavoro qui da Stefano e famiglia è leggermente diverso da come ci si aspetterebbe da un laboratorio di ceramica artigianale. Dovendo realizzare solitamente piccole serie di oggetti, una buona parte dello spazio della bottega è occupato dagli stampi

“Dovendo fare repliche dagli stessi modelli, la prima cosa che facciamo è creare gli stampi in cui poi andremo a versare l’argilla”.  

In un laboratorio come questo, il procedimento è ben collaudato. Si parte dal disegno dell’oggetto, si crea il modello, e successivamente viene realizzato lo stampo in gesso. Una volta ottenuto questo, si passa al colaggio dell’argilla all’interno dello stampo e ai successivi processi di cottura e pittura. Ogni passaggio è affidato ad un componente diverso della famiglia. Stefano si occupa del colaggio e del decoro dei pupazzi, suo fratello Rizzardo della creazione degli stampi, sua madre Liliana della rifinitura degli oggetti grezzi e della smaltatura. 

E il padre?

“Lui è il boss”, ci dice Stefano, indicandolo mentre ci passa alle spalle. “Lavora di là al tornio, dove realizza oggetti rotondi, come ciotole e piatti”. Lo andremo a trovare a breve, in quello che è un piccolo laboratorio all’interno del laboratorio principale.

“Oggi la gran parte del mio lavoro è dedicato alla creazione dei calciatori del Subbuteo”, continua Stefano. “Abbiamo molta richiesta da proprietari di negozi e gallerie in tutta Italia, oltre ad avere anche commissioni private”. 

Perché il processo per un singolo omino, seppur con l’utilizzo degli stampi, è comunque lungo. Si procede al colaggio dell’argilla nello stampo, dove rimane per qualche ora. Quando si tira fuori, il pupazzo deve essere sgrossato per rimuovere le sbavature. Una fase che richiede già un bel po’ di lavoro, ci dice. “Mia madre li gratta e li ripassa con la spugna per farli diventare perfettamente lisci”. 

A quel punto si passa al decoro, due o tre mani per evitare che si vedano le pennellate. Si passano in forno per un paio di giorni fino a raggiungere i mille gradi. 

Dopodiché gli viene messa la cristallina, che dà lucidità, vengono spruzzati con l’aerografo, e ributtati in forno per altri due giorni, ancora a mille gradi. A quel punto si incollano ai piedistalli. Per rendere più svelta la produzione e soddisfare tutte le richieste, Stefano e famiglia dispongono oggi di una quindicina di stampi

Oltre alla creazione di nuovi oggetti, Stefano ci racconta anche di un altro contesto del suo lavoro, che apprezza molto. 

“Capita che, di tanto in tanto, mi portino oggetti rotti da riparare e restaurare”, ci dice. Un ambito che, come ci racconta, è fra i suoi preferiti. 

“In ceramica puoi specializzarti in moltissime cose. Il restauro è qualcosa a cui mi sarei potuto dedicare completamente. Mi piace e mi è sempre venuto estremamente facile e naturale”. 

Anche per la ricerca e riproduzione dei colori, specifica, per la quale ha sempre avuto una sorta di predisposizione innata. 

“È un lavoro che ho iniziato a fare fin da subito, cominciando a riparare piccoli oggetti rotti portati dai clienti. Ho poi iniziato a maneggiare anche opere di un certo valore. Lo trovo un lavoro davvero bellissimo”.

Dopo esserci addentrati nel mondo della ceramica e del Subbuteo con Stefano, andiamo nel classico retrobottega, dove il padre Michele è alle prese con i suoi due torni. In questo piccolo, affascinante angolo del laboratorio, si torna indietro nel tempo. Come ci conferma lo stesso Michele.

“Ormai nessuno utilizza più queste macchine. Io ci lavoro dal ‘64”

Si tratta tecnicamente di attrezzi chiamati modine a sottosquadro. Sopra ognuno dei due torni, che ne costituiscono le basi, si solleva un braccio a cui sono applicate delle dime, ovvero piccoli strumenti in ferro che modellano il materiale grezzo. 

Facendo calare le dime sul pezzo d’argilla che gira sul tornio, si riesce a conferirgli una precisa forma. “Per tipologie di piatti diverse, vanno applicate dime diverse”, ci spiega Michele, mentre fa prendere forma a un piatto dopo l’altro. 

Sotto i nostri occhi, si muove con grande agilità tra uno strumento e l’altro. Prima tagliando le strisce d’argilla con un filo in acciaio, poi posizionandole sui torni. 

Con un’abilità che fa sembrare tutto molto semplice, cala le dime e intaglia in pochi secondi la forma dei piatti e delle ciotole, che poi conserva a far seccare in appositi stampi. Una testimonianza preziosa di un modo di fare ceramica ormai dimenticato, ma ancora in grado di trasformare argilla grezza in rifiniti oggetti da tavola.

È ormai orario di pranzo, e salutiamo la famiglia Puzzo e questo affascinante laboratorio. Un romantico ponte fra mondi artigianali in trasformazione, da quello più tradizionale dei genitori al più moderno delle nuove generazioni, che Stefano e Rizzardo portano avanti con grande professionalità.

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