Nicoletta Caraceni, abiti su misura nella sartoria storica milanese

Quando si parla di abiti su misura a Milano, uno dei nomi storici a cui non si può che far riferimento è la Sartoria Caraceni. Il capostipite, Ferdinando Caraceni, si trasferì a Milano dalle sue terre d’origine in Abruzzo.

E nella città della moda diede avvio ad una grande realtà di sartoria artigianale italiana che vive ancora oggi. Confezionando vestiti su misura per notissimi personaggi in Italia e in tutto il mondo. Yves Saint Laurent, uno dei più influenti stilisti dell’ultimo secolo, fu suo grande cliente ed estimatore.

A raccontarci questa affascinante storia è la figlia Nicoletta, che oggi tiene in mano con non meno sapienza le redini della sartoria. Grazie a lei scopriamo cosa rende unici i vestiti qui confezionati, scrutando letteralmente ‘nelle pieghe’ di un mondo dal fascino antico.


“Quando dico che i miei vestiti sono biodegradabili, c’è sempre qualcuno che si mette a ridere”, esordisce Nicoletta, accogliendoci nell’elegantissimo salone dove riceve i suoi clienti. Collegato a questo, il vero e proprio laboratorio, che ci mostrerà più avanti. 

“Per i miei capi non uso niente che non venga dal mondo vegetale o animale”, chiarisce. “Fra questi tessuti non troverai mai un grammo di materiale sintetico. Solo pura lana, mohair, angora, cachemire, vicuna, velluto di cotone, velluto di seta, shantung di seta. All’interno uso seta di fodera o cupro bemberg”

Il primo punto che definisce un abito di Caraceni è già chiaro. Solo tessuti e materiali di ricercata qualità e fattura. Così come si facevano un tempo. 

“Utilizzo solo tessuti inglesi”, ci dice mostrandocene alcuni fra le centinaia che conserva in negozio. Come ci spiega, la sartoria da uomo di una volta ha sempre utilizzato queste stoffe, i cachemire scozzesi, gli shetland. Il Regno Unito ha una tradizione di lavorazione dei tessuti così antica ed un gusto classico che non si trova da nessun’altra parte al mondo. Così come i colori che riescono a riprodurre. “Come il grigio ad esempio”, ci fa vedere. “È un colore molto difficile da far rendere, senza che diventi un colore triste”. 

Sono stoffe meravigliose, e in quanto tali determinano un valore del prodotto molto elevato, non per tutti. E allora ci chiediamo (e le chiediamo), chi vende vestiti in cachemire a basso costo come fa?

“Mio padre diceva: quelli il cachemire lo hanno appena visto passare”. Molti dei prodotti venduti come cachemire, ci dice, sono il risultato di miscugli, in cui si utilizzano solitamente scarti della lavorazione del cachemire, insieme a tessuti simili e indistinguibili a un occhio non esperto. Come l’angora, ad esempio. 

“Poi però vedi che questi vestiti iniziano a produrre i classici pallini”, ci spiega, “e a infeltrirsi al primo lavaggio”.

Anche per quel che riguarda i bottoni, qui si utilizza solo materiale organico. Questi, ci spiega, vengono ricavati partendo da materie diverse. Tra queste, il corozo, anche noto come avorio vegetale. Si tratta del seme di una palma che cresce nelle foreste pluviali del Sudamerica. Altrimenti l’osso, oppure le corna, solitamente di bufalo. Qualche volta, ci dice, utilizza anche la madreperla.

Qui il cliente fa le sue scelte, tipologia dell’abito e tessuto, guidato dalla competenza di Nicoletta. Il punto di partenza per arrivare al prodotto finale. 

Ogni abito che confeziono è come una storia, che si sviluppa un passo alla volta, in un dialogo continuo con il cliente. Prima voglio conoscere le tue abitudini, il tuo stile di vita”, continua. “Perché l’abito lo devo confezionare in base a quelle che sono le tue esigenze”. 

Un altro punto cardine che qui ancora resiste, lo stretto rapporto fra il prodotto, chi lo realizza, e chi lo dovrà indossare. Una vera e propria cura (quasi materna, dice lei) per garantire il massimo che un vestito possa offrire. Qualcosa che oggi, nel mercato moderno, non si trova praticamente più.  

Poi si entra ancor più nel dettaglio della realizzazione di un capo fatto a mano

La prima cosa che viene fatta è bagnare il tessuto. Lino e cotone, ad esempio, si adagiano nella vasca da bagno per ventiquattr’ore, tempo che serve per fargli perdere l’amido. Si stendono ad asciugare e dopo si tagliano. Nel frattempo, si lavora sul modello in carta. 

Quando il tessuto è asciutto, si stira bene e poi gli si adatta  sopra il modello, per poi tagliare. “Dopo inizi a fare i davanti”, continua. Vuol dire le tasche, il taschino, tutto rigorosamente a mano. Dopodiché si monta tutto insieme, si imbastisce, e si fa la prima prova sul cliente.

Sembra già un bel lavoro. In verità siamo appena all’inizio. Come mai? Perché “poi si smonta tutto”, spiega Nicoletta.  “Si riscuce tutto quanto, si stira nuovamente, e si rimette sul tavolo e sul modello”. 

In questo modo, si riesce a definire ancora meglio come adattare l’abito alla corporatura del cliente

“Bisogna osservare come questo è esposto con le spalle, la differenza tra un lato e l’altro, la curvatura della schiena. Per ogni struttura, ovviamente, è necessario calibrare la quantità di tessuto che andrà su ogni lato. In modo da far adattare il vestito sul cliente come se fosse un guanto”.

“Il cliente deve dimenticarsi di avere su un mio abito”, chiarisce Nicoletta. Tanto che alcuni, ci racconta, non hanno problemi ad indossarli per farsi un giro in bicicletta. “Vedi quanto riesci a stare comodo in bici con una giacca normale”, dice sorridendo.

“Mio padre diceva sempre di farli sembrare più slanciati e più belli. Quella giacca non devono volersela togliere!”

Di suo padre racconta della prima volta che la portò con sé a Parigi. Era il 1977, ed un viaggio così, all’epoca, era qualcosa di veramente speciale. 

“Non esistevano le low cost”, ci racconta. “Andare a Parigi era una cosa per ricchi!” E lei non vedeva l’ora di farlo. Anche se della capitale francese vedranno poco. 

“Di quel viaggio ho visto l’interno dei taxi”, ricorda Nicoletta. Passavamo da un cliente all’altro, senza aver tempo di vedere niente della città”. 

Ma questi clienti non erano certo meno attraenti. Da Yves Saint Laurent al direttore dell’Opera di Parigi, dall’allora direttore de L’Espresso al Principe Caracciolo. La fama e abilità di Ferdinando Caraceni oltralpe era già arrivata da un pezzo. 

“Quando me lo chiedevano, dicevo che mio padre faceva il sarto”, racconta Nicoletta. “Ma solo quando ho visto Yves Saint Laurent, nella sua reggia museo a Parigi, andare incontro a mio padre, abbracciarlo e salutandolo con un Bonjour Maestro!”, allora ho capito che quel lavoro era molto di più”.

“Dagli anni ‘80, fino ai Duemila, ho visto una clientela con grandi disponibilità economiche, ma anche di grande cultura”, dice Nicoletta. Perché la scelta dell’artigianato è anche una scelta culturale, sostenibile. Denota un grado di consapevolezza nel sapere quello che si vuole, senza subire l’imposizione di un certo gusto dall’alto.  

“La prima cosa che mi disse mio padre quando iniziai a lavorare con lui era che dovevo conoscere i tessuti”. Ed un modo per farlo, come ci mostra, è sentirne la ‘musica’

Prendendo il singolo tessuto e scuotendolo in maniera armonica, produce un suono particolare, da cui un’esperta come lei può capirne le caratteristiche. “Il rumore prodotto dipende anche dallo spessore del filo con cui è cucito”. E l’abilità di Nicoletta nel riconoscere il tipo di tessuto che ha sottomano, a occhi chiusi, fra le miriadi di cui dispone, è sorprendente.

Questo è un lavoro zen”, conclude salutandoci. “Quando sei lì ti si svuota la mente, non pensi ad altro. E, a fine giornata, hai sottomano qualcosa che hai prodotto tu stesso”. 

E un lavoro dove non si smette mai di imparare e di migliorare. Anche dopo l’arco di due generazioni.

“Se pensi a un certo punto di essere arrivato, allora non produrrai più niente di valido”, conclude. E se lo dice una come lei, non possiamo che crederci.

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